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Porto di Tricase - Notizie Storiche e l'Arte dei Pelacani

La posizione geografica di Tricase Porto, ponte estremo tra due mondi (quello orientale e quello occidentale), fu di fondamentale importanza nei secoli passati; la presenza nell'entroterra di una particolare specie vegetale, la "falamida", rese possibile lo sviluppo di attività commerciali e artigianali.

Tutto cominciò nel lontano 841, quando le coste pugliesi e calabresi furono invase dai Saraceni; dopo diverse battaglie, gli Arabi riuscirono a cacciare i Longobardi e ad insediarsi per circa due secoli in Puglia. Fu sicuramente da questi popoli ricchi di storia e di cultura che i Tricasini acquisirono le tecniche di lavorazione e concia delle pelli e soprattutto l'utilizzo di una particolare sostanza chimica naturale chiamata "tannino". Tale sostanza è contenuta nella corteccia e nei frutti delle "Falamide" o "Querce Vallonee", molto comuni nel paesaggio tricasino del tempo.

Iniziò così, sotto la dominazione araba, un uso del porto coerente con la posizione geografica di cui godeva. Le navi, cariche di pelli provenienti da tutto il Mediterraneo, approdavano sulla costa tricasina, dove un piccolo esercito di uomini era pronto a trasformare quelle pelli grezze in tessuti morbidi, profumati e soprattutto resistenti. Una testimonianza di tali attività la si può ancora osservare lungo la costa, nei pressi del porto, dove un insieme intricato di conche, vasche e canaletti lascia supporre che tali strutture venissero utilizzate dai conciatori per il lavaggio delle pelli.

Il tannino contenuto nella corteccia delle quercie, disciolto nell'acqua e messo a contatto delle pelli private del pelo e scarnate, ne evitava la putrefazione, cioè l'acqua estraeva naturalmente i succhi concianti dai vegetali e tali succhi reagivano con le fibre delle pelli (concia vegetale). Oltre alla corteccia delle Vallonee, venivano utilizzate anche le foglie della "mortella", una pianta molto comune nella bassa macchia mediterranea; la sua funzione fondamentale era quella di dare un odore piacevole alle pelli.

E' quindi il nuovo mestiere di "Pelacane" o conciatore di pelli che prende il sopravvento nell'Università di Tricase e si sviluppa un mercato che durerà per più di sei secoli; nel 1650 la chiusura del porto ad ogni tipo di commercio da parte del vicerè conte D'Ognatte (per impedire il fenomeno del contrabbando) e la scoperta di un nuovo tipo di concia, quella minerale, determinarono il declino di tutte le attività che avevano reso importante Tricase.

Solo nei primi anni del '900, per l'impegno assunto dall'On. Alfredo Codacci Pisanelli, si uscì da quello stato di abbandono in cui versava il porto di Tricase grazie all'ampliamento dello stesso. Tali lavori permisero un ormeggio sicuro alle paranze baresi, con il relativo sviluppo del mercato del pesce, ma non solo.

Infatti, la posa di una boa di ormeggio esterna al porto utilizzata dai piroscafi che facevano spola tra il Mediterraneo ed Anversa (Belgio), permise lo sviluppo del mercato del "tabacco giallo" preparato ed imballato nel paese ed esportato in tutta Europa. Questa situazione fece uscire dall'isolamento Tricase, merito anche dei vapori della società di navigazione "Puglia" che collegavano Bari e Messina e che facevano scalo nel nostro porto.

Canale del Rio

Il Canale del Rio è un’insenatura naturale dal fascino incontaminato, le cui rocce aspre e frastagliate custodiscono uno specchio d’acqua cristallina. Una leggenda molto suggestiva è legata alle origini di questo luogo.

Un principe vecchio, tiranno e prepotente, pretendeva di passare la prima notte con le giovani spose, minacciando di tagliare la testa ai mariti se osavano protestare. Le teste dei poveretti finivano nel “taione”, una botola nascosta nella torre del castello, dove il principe teneva la sua collezione di trofei.

Un giorno il principe ebbe un’idea folle: voleva vedere il mare affacciandosi dal suo castello. Allora i diavoli con il “libro del comando”, un libro antico e maledetto che serviva per evocare le creature infernali e farle obbedire, apparvero davanti al principe e gli dissero: “Comandi, Padrone!”, con una voce spaventosa.

Il principe doveva dargli un ordine, altrimenti il diavolo si sarebbe arrabbiato e avrebbe portato sfortuna. Il principe ordinò ai diavoli di scavare un canale per portare il mare fino al castello. I diavoli si misero al lavoro, ma il principe si dimenticò di chiudere il libro e lo lasciò sul tavolo.

Uno dei servi, curioso, aprì il libro e vide il diavolo che gli disse: “Comandi, Padrone!”. Il servo, spaventato, disse la prima cosa che gli venne in mente: “Torte d’acqua e sarc

LA LEGGENDA DELLA CHIESA DEI DIAVOLI E LE CAMPANE NEL CANALE DEL RIO

Da Tricase andando per la vecchia strada in direzione Tricase Porto, subito fuori dall’abitato, incontriamo la Chiesa della Madonna di Costantinopoli o chiesa Nova, costruita nel 1684 a cura della Famiglia Jacopo Francesco Arborio Gattinara, Marchese di San Martino, denominata anche Chiesa "dei Diavoli"; la chiesa è unica nel suo genere perchè di forma ottagonale con cinque altari attualmente sconsacrata, ma utilizzata per eventi culturali dal comune, che la acquistò nel 1996 e la restaurò inaugurandola nel 2013. Un tempo lì si svolgeva la fiera di San Vito che poi venne dirottata nel centro del paese; per questo venne progressivamente abbandonata e poi sconsacrata per inutilizzo.

Una leggenda narra che…..tanto tempo fa, il principe, per fare un favore ai contadini che volevano una cappella (oggi nota appunto come Chiesa dei Diavoli) in un villaggio di campagna, decise di chiedere una mano al demonio, ordinandogli di costruire una chiesa in una sola notte. Il demonio accettò volentieri la richiesta del principe che inoltre gli avrebbe donato un baule pieno di monete d’oro, per siglare un’amicizia con gli umani. In cambio il principe avrebbe dovuto offrire un’ostia consacrata ad uno dei simboli del demonio, il caprone. Il principe però, timoroso della reazione di Dio, venne meno al patto. Infuriato il demonio, dopo aver ormai costruito la chiesa, ne lanciò le campane nel canale del Rio. Ancora oggi, durante le mareggiate invernali, se ne ode distintamente il suono.

PISCINA NATURALE DI MARINA SERRA

Posto meraviglioso e incantevole. Una mezza luna verde smeraldo distesa sulla roccia calcarenitica della scogliera salentina. Scavata inizialmente dalla forza del mare che aveva creato a nord una piccola insenatura il cui accesso dal mare era facilitato da una porta ad arco sulla linea di costa; a sud invece era presente una vera e propria “conca” di acqua che veniva alimentata dall’infrangersi delle onde o dalla pioggia. Ma l’uomo, a partire dal ‘500, diede un notevole contributo per il congiungimento di questi due tratti di costa, scavando nel mezzo per estrarre dei grossi tufi di pietra per la costruzione, in epoche diverse, di svariate opere:

  • la contigua “Torre saracena di Palane”;
  • alcune ville storiche di Marina Serra;
  • i muretti del lungomare;
  • per le scale di accesso alla scogliera;
  • per gli spogliatoi della struttura balneare contigua alla piscina;
  • per il muro di contenimento del porticciolo di Marina Serra.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Una piscina al riparo dal talvolta fastidioso vento di tramontana; acqua verde smeraldo limpida e trasparente con un profondità comoda per le famiglie con bambini, utilizzata anche dai più temerari per i bagni fuori stagione.

LE VIE DEL SALE

Le Vie del Sale sono degli affascinanti e misteriosi sentieri costruiti dall’uomo per accedere dal fertile bassopiano corsanese alla costa adriatica aspra e meravigliosa, ricca di macchia mediterranea. “Tratturi” e “Mulattiere" regalano, a chi le percorre un’esperienza a diretto contatto con la natura e con il passato. Entrambi sono dei veri e propri sentieri a fondo naturale, sassoso ed erboso, spesso delimitati su entrambi i lati da muretti a secco e adatti alla circolazione di animali da soma come asini e muli. Prima dello sviluppo della rete stradale moderna (quel tratto di litoranea fu realizzata nel 1958), tali sentieri venivano utilizzati dalle genti locali come collegamento tra i paesi dell'entroterra, la campagna e il mare. Oltre che dai contadini e dai pastori, tali sentieri furono monopolizzati per un lungo periodo dagli “scalcagnati” o “carcagni tosti”.

Gli “scalcagnati” spesso erano abitanti del centro urbano di Corsano che a piedi nudi sugli scogli appuntiti, erano dediti al contrabbando del sale che naturalmente (ma talvolta con espedienti tecnici di scavo), si creava per evaporazione dell’acqua marina presente nelle “conche”. Le “conche” erano delle buche dove ristagnava l’acqua del mare portata dalle onde lungo la costa frastagliata che va da Funnu Vojere fino a Novaglie. Raccolto illegalmente il sale, che era monopolio di stato, si caricava sui muli che ripartivano verso l'entroterra utilizzando questi sentieri lasciando come vedette ragazzetti e donne che avvisavano fischiando l’eventuale presenza di autorità nella zona. Il tratturo più antico, collocato sul margine del bassopiano che corre parallelamente alla linea di costa, si chiama “Nzepe”, più a sud prosegue col nome di tratturo “Bortoli”. Trasversalmente poi si diramano le mulattiere Munterune, Scalapreola, Scalamunte e Rusia costruite a partire dal 1740, che scendono fino al margine costiero.

SENTIERO DELLE CIPOLLIANE

Il sentiero prende il nome da una varietà selvatica di cipolla che cresce rigogliosa in questo ambiente salmastro. Sentiero lungo circa 2,5 km che veniva utilizzato da commercianti, contadini e pescatori. Si snoda lungo la fascia costiera a strapiombo sul mare e collega le località del canalone del Ciolo con il vecchio porto di Novaglie. Utilizzato anche per il contrabbando del sale che veniva raccolto sulla costa più bassa e accessibile a nord, era percorso da muli e asini che trasportavano i preziosi carichi verso l’entroterra salentino. Il sentiero cisteggia anche le grotte delle cipolliane disposte a 30 metri sul livello del mare, cavità di notevole bellezza e interesse storico/naturalistico.

La presenza di pajare, muretti a secco secolari, una macchia mediterranea profumata (timo e rosmarino selvatici, mirto, lentisco, cipolla selvatica, fico d’india, cappero, finocchio marino (ripili), cespugli di euforbia arborea, giglio bianco, le campanula e i fiordaliso oltre al raro alisso endemico di Leuca, ecc…) rende il percorso unico e incredibilmente piacevole, nonostante diventi impegnativo in alcuni tratti.